Prima di tutto, poche settimane prima del rilascio della nuova versione, il produttore riceve da Google il Platform Development Kit, contenente codici sorgente e altro materiale utile per effettuare il porting dell’OS sui propri dispositivi. Ciò avviene attraverso l’Hardware Abstraction Layer (abbreviato in HAL), ovvero una sorta di “strato intermedio” la cui funzione è tener conto, al posto del software, di quanti più possibili hardware diversi su cui poter essere eseguito.
La fase successiva vede l’implementazione di funzioni di base, come connettività attraverso la rete dati, SMS e chiamate vocali.
Dopodichè il produttore inserice nel software le sue personalizzazioni, sia grafiche (pensiamo a Xperia UI, alla Sense di HTC o alla Touchwiz di Samsung) che funzionali (Modalità di ultra risparmio energetico, modalità ad una mano, ecc.).
Al termine di tale procedura si apre la fase di testing, a cui partecipano sia dipendenti della stessa azienda sia beta-testers esterni. Ritenuti soddisfacenti i test si verifica che l’aggiornamento Software appena realizzato incontri specifici standard, come quello Wi-Fi o Bluetooth, e che incontri le esigenze di specifici operatori che ne abbiano fatto richiesta (Caso degli smartphone “brandizzati)
Si arriva così, finalmente, al lancio della versione definitiva, la quale però potrebbe essere nuovamente modificata o integrata con delle patch qualora gli utenti dovessero segnalare problemi di qualsivoglia natura (bugs, rallentamenti, crash e via discorrendo)
Visto dunque il lungo lavoro richiesto possiamo meglio comprendere come mai lo scarto temporale tra il rilascio di una nuova versione di Android “puro” e il roll-out degli aggiornamenti da parte dei singoli produttori sia spesso molto dilatato.