Il caso Google-Internazionale: una polemica che ha poche ragioni d’esistere

22 Luglio 201348 commenti

Probabilmente alcuni tra i nostri lettori avranno già sentito parlare dell'argomento di questo post: nei giorni scorsi è infatti scoppiata una piccola polemica in rete, con protagonisti Google e il settimanale Internazionale. Una polemica che, come vedremo, poteva essere evitata.

Per prima cosa i fatti: alcune settimane fa, a causa di un malware rilevato, chi avesse provato a collegarsi al sito di Internazionale attraverso Google si sarebbe imbattuto nella solita schermata, che i nostri lettori ben conosceranno, che ammonisce l’utente dei possibili rischi.

Pochi giorni fa, il direttore De Mauro ha riassunto la vicenda in un editoriale:

Pericolo

La storia è piccola ma forse merita di essere raccontata. Nel pomeriggio di martedì 9 luglio abbiamo notato che i visitatori del nostro sito stavano diminuendo rapidamente. Mentre cercavamo di capire perché, è arrivata un’email di Google in cui si diceva che nel sito c’era un malware, un tipo di software in grado di causare danni più o meno gravi ai computer degli utenti.

 

 

Chiunque provava a collegarsi a Internazionale, da qualunque browser, vedeva un minaccioso messaggio di Google in cui si diceva che era pericoloso andare avanti e che si rischiava di infettare il proprio computer.

L’accesso al nostro sito non era bloccato, ma di fatto non si collegava quasi più nessuno. Ovviamente abbiamo subito rimosso il codice che poteva contenere il malware e abbiamo informato Google, chiedendo di togliere il messaggio di pericolo. Cosa che è successa solo dopo quarantott’ore, e dopo molte telefonate e email scambiate con i responsabili di Google Italia. I quali ci hanno spiegato che di casi come il nostro se ne verificano più di trentamila alla settimana in tutto il mondo, che le procedure di verifica sono gestite da software e che non si può intervenire per accelerare il processo.

 

 

Tutto questo, ci hanno detto, è fatto per tutelare gli utenti. Nella sostanza, però, un’azienda privata con sede negli Stati Uniti ha oscurato per due giorni un sito d’informazione di un altro paese.

 

 

Parlare di censura ovviamente è fuori luogo, ma ogni giorno che passa il potere delle tre o quattro più grandi aziende tecnologiche statunitensi aumenta. E noi non ce ne rendiamo conto finché una piccola storia non ci tocca da vicino.

Dalla lettura di quanto riportato, si evince che il codice malevolo era effettivamente presente, ed è ovviamente stata la causa che ha portato l’algoritmo di Google a piazzare la “minacciosa” schermata di avvertimento davanti alla porta del sito.

Accesso che restava comunque possibile scegliendo di proseguire a proprio rischio. Più volte mi è capitato di imbattermi in questi avvertimenti, ma nel caso di siti “di fiducia” ho scelto ovviamente di ignorarli. Non si capisce cosa avrebbe impedito ai lettori di Internazionale di fare altrettanto.

Inoltre, l’avvertenza era mostrata unicamente nel caso si arrivasse al portale tramite Google: digitando l’indirizzo via web non c’era infatti alcun problema a visualizzare le pagine richieste.

La segnalazione di un possibile pericolo è uno strumento utile sia ai visitatori che ai gestori di un portale, e la risoluzione della vicenda lo dimostra. Inoltre, la riduzione drastica del numero dei visitatori lascerebbe pensare che gran parte del traffico del portale venga generato proprio da Google.

Per questo, parlare di “blocco”, “censura”, “oscuramento di fatto”, sembra davvero fuori luogo, come inopportuno appare il tirare in ballo problematiche esistenti, certo, ma inapplicabili al caso in esame.

Avete avuto esperienze simili col vostro portale? Cosa ne pensate del caso di cui abbiamo parlato? Diteci tutto nei commenti.

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