Addio all’alimentatore incluso con lo smartphone: scelta green o strategia per incrementare i profitti? [Editoriale]

31 Gennaio 2021Nessun commento

Lo scorso ottobre Apple ha nuovamente stupito tutti con una mossa controcorrente: eliminare l’alimentatore da muro dalle confezioni di vendita degli iPhone; ovviamente le lamentele degli utenti non hanno tardato ad arrivare, così come le prese in giro da parte dei principali competitor, i quali, però, hanno deciso di seguire subito dopo la stessa linea con i loro top di gamma: parliamo di  Samsung e Xiaomi,

Interrogate sulle ragioni di tale scelta, tutte le aziende citate hanno difeso questa iniziativa sostenendo di voler ridurre l’impatto ambientale legato al processo produttivo dei propri smartphone. Ma è davvero così? Cerchiamo di fare chiarezza.

Non è un segreto che uno smartphone inquini (e non poco) durante il suo ciclo di vita: viene prodotta una significativa quantità di CO2 durante il processo di estrazione delle materie prime e durante la loro lavorazione e assemblaggio, così come durante l’utilizzo quotidiano: semplici gesti come ricaricare il proprio dispositivo o inviare un’email consumano energia e di conseguenza concorrono ad alimentare l’inquinamento atmosferico, per non parlare del processo di smaltimento dei dispositivi.

Il problema quindi esiste, il trend non accenna a diminuire ed è necessario che le aziende si impegnino quanto più possibile per ridurre il loro impatto ambientale. Volendo quantificare i benefici per il pianeta derivanti dall’eliminazione dei caricatori da muro dalle confezioni di vendita, ho deciso di cercare qualche informazione in più. Tuttavia la mia ricerca si è rivelata molto più complessa del previsto: nonostante le dichiarazioni da parte delle aziende, solamente Apple ha comunicato dei dati da poter analizzare. Dovremo prendere quindi questi ultimi come benchmark, ipotizzando che Samsung e Xiaomi abbiano conseguito risultati identici se non inferiori (altrimenti perché non pubblicarli? Dopotutto sarebbe per loro un’ottima occasione per farsi pubblicità).

Ad ogni modo, iPhone 12 Pro Max da 512GB è il secondo iDevice più “inquinante” di sempre, con i suoi 110Kg di CO2 prodotta, con 110Kg, solo 1 in meno rispetto al predecessore iPhone 11 Pro Max 512GB; iPhone 12 Pro da 512GB segue poco dietro, con 107Kg di CO2 prodotta durante la sua vita, lo stesso ammontare di iPhone 11 Pro 512GB, mentre iPhone 12 ne produce 87, esattamente quanto il suo predecessore.

Non si tratta quindi di risultati eccezionali. È vero, probabilmente gli attuali smartphone di Cupertino, se dotati di caricabatterie, avrebbero prodotto una quantità di gas serra leggermente maggiore. Ma di quanto? La differenza è, nell’aggregato, significativa?

La risposta non può che essere negativa. Nel solo 2019 l’umanità ha prodotto quasi 54 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, di cui i caricabatterie rappresentano una parte minuscola: più o meno lo 0,1% del totale, secondo il rapporto Global E-waste Monitor 2020. Questo significa che, se tutti i produttori decidessero di seguire questa strada, i vantaggi per il nostro pianeta sarebbero difficilmente apprezzabili.

Più che una mossa eco-friendly, dunque, sembra di essere davanti ad una nuova trovata per incrementare i profitti delle aziende, che cercherebbero di migliorare la propria immagine fingendo di abbracciare la causa ecologista. Insomma, pare di avere a che fare con l’ennesima azione di greenwashing.

A questo punto qualcuno potrebbe controbattere: “è una goccia nell’oceano, ma almeno è qualcosa, dopotutto ho già decine di caricatori in casa, dimenticati in fondo ad un cassetto”.

Questo è vero, ma è anche vero che in molti casi si rivela insufficiente: anche un alimentatore vecchio di 10 anni, infatti, permette di ricaricare senza problemi anche lo smartphone più recente, ma il nodo è legato al tempo necessario per avere una carica completa, in particolare viste le attuali tecnologie. Soprattutto nei dispositivi top di gamma, al fine di contenere lo spessore ed il peso complessivo, i produttori preferiscono evitare di implementare batterie estremamente capienti, preferendo investire nello sviluppo di tecnologie di ricarica rapida sempre più efficienti. iPhone 11 esce dalla fabbrica con supporto alla ricarica rapida a 18W, mentre il 12 supporta quella a 20W; Mi 10 supporta la ricarica a 30W, mentre Mi 11 raggiunge i 55W. Si tratta di standard in grado di ridurre da diverse ore ad alcuni minuti il tempo necessario per avere uno smartphone carico al 100%. Utilizzare un vecchio alimentatore significa di fatto perdere una feature che viene spesso pubblicizzata dai produttori durante le presentazioni. Di qui le strade sono due: rinunciare ad una caratteristica che, seppur in minima parte, si sta pagando al momento dell’acquisto di un nuovo smartphone, oppure “pagarla due volte”, comprando a parte un caricatore, per il quale, a proposito, Apple chiede 25€ e Samsung 20€.

Sono d’accordo che non si tratta di cifre da capogiro, ma alla luce di quanto appena detto trovo comprensibile che diversi utenti siano quantomeno infastiditi dall’idea di dover mettere di nuovo mano al portafogli per poter fruire al 100% di un dispositivo appena acquistato certamente a prezzo di saldo.

In conclusione, dunque, l’eliminazione di questo accessorio non sembra la strada migliore da intraprendere, nè a favore dell’ambiente nè tantomeno a vantaggio dei consumatori. Quale potrebbe essere quindi la strada maestra da seguire? Non so se sia la risposta giusta, ma vorrei fornire un piccolo spunto in proposito e sono curioso di conoscere anche le vostre opinioni a riguardo.

Si stima che al 2020 in tutto il  mondo esistano 3.5 miliardi di smartphone. Gartner, una delle più famose società di consulenza manageriale al mondo, ha stimato che i soli smartphone venduti nel 2018 abbiano prodotto le stesse emissioni di carbonio delle Filippine, un Paese di circa 100 milioni di abitanti. Se riuscissimo a prolungare la vita utile di questi smartphone anche solo di un terzo, continua la società, si potrebbe risparmiare un ammontare di CO2 pari a quello prodotto dall’intera Irlanda nell’arco di un anno. Se le aziende volessero davvero ridurre drasticamente l’inquinamento legato al ciclo di vita dei propri prodotti, potrebbero quindi dismettere (o perlomeno rivedere) i loro piani di obsolescenza programmata: una mossa del genere potrebbe fare davvero del bene al nostro pianeta.

Vero, in questo modo si andrebbe incontro ad una contrazione dei loro profitti (perlomeno nel breve periodo), ma il ritorno d’immagine sarebbe grandissimo e crescerebbe anche il numero di clienti che potrebbero acquisire, spinti dalla prospettiva di poter continuare ad utilizzare senza alcun problema uno smartphone anche per 5, 6 o più anni di seguito.

 

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