Il tema della privacy e della sicurezza dei nostri dati è sempre in prima linea, dato che ormai la maggior parte delle persone in tutto il mondo utilizza regolarmente il web inserendoci all’interno la propria identità. I siti pornografici, in particolare, sono tra i più frequentati, sia da uomini che da donne, e sembra che, anche utilizzando la modalità in incognito, i nostri dati possano essere utlilizzati per capire le nostre preferenze e venduti per pubblicità mirata.
A riguardo, per un recente studio condotto da ricercatori di Microsoft, Carnegie Mellon University e University of Pennsylvania, sarebbero stati analizzati più di 20.000 siti web pornografici ed i risultati, pubblicati lo scorso lunedì, hanno rilevato che circa il 93% dei siti analizzati cede dati dell’utenza a terzi.
Secondo tale ricerca, la raccolta dei dati avverrebbe attraverso una serie di servizi: quelli appertenenti a Google o Facebook, come le API e gli strumenti di analisi di Google o gli strumenti di sviluppo di Facebook, sarebbero stati trovati su più del 50% dei siti in questione. Ciò non comporta necessariamente che queste aziende utilizzino le informazioni raccolte ma, sicuramente, hanno accesso a molte di esse.
I ricercatori hanno dichiarato che nonostante l’azienda californiana si rifiuti di “ospitare” la pornografia, non si pone limiti nell’osservare come gli utenti ne facciano uso. I dati di coloro che frequentano questi siti, inoltre, ne rivelano il sesso, l’identità di genere e gli interessi, rappresentati dall’URL della piattaforma web a cui si accede, e rappresentano un rischio ulteriore se vengono tracciati, dato che ipotesi sull’identità e sulle preferenze sessuali sono collegate a informazioni di identificazione personale.
Riguardo la modalità in incognito o privata, essa sarebbe utile solamente per impedire al browser web di salvare le attività di ricerca ma ISP, siti Web e servizi di tracciamento ricevono comunque tutte le informazioni e la sicurezza non aumenta, a meno che il sito in questione non utilizzi la crittografia ma, dai risultati della ricerca, è emerso che solamente il 17% dei siti analizzati la supporta.
Dunque, è molto probabile che gli utenti che fanno uso dei siti web pornografici analizzati possano essere monitorati a causa della scarsa sicurezza, rischiando la condivisione e l’utilizzo dei propri dati che, in questo caso, trattandosi di predilezioni sessuali e non semplicemente di abitudini d’acquisto o altro, possono essere molto più sensibili. Speriamo, infine, che questa ricerca possa spingere le autorità competenti ad indurre controlli più rigorosi sulle attività di monitoraggio online.