Come ricorderete, infatti, uno dei leitmotiv ripetuti, a turno o simultaneamente, dal ministro Franceschini, dal presidente SIAE Gino Paoli o da altri sostenitori dell’adeguamento, era che tali aumenti sarebbero ricaduti sui produttori e non sui consumatori: parole, di per sè opinabili, messe ancora più in discussione dall’analisi dell’Antitrust.
Secondo l’Autorità è infatti necessario che “l’ammontare dell’equo compenso sia specificato nel prezzo corrisposto dai consumatori per acquisti di apparecchi di registrazione e di supporti vergini” (fonte). Ben presto potremmo quindi trovare, accanto al prezzo dello smartphone, tablet o altro dispositivo o supporto registrabile, una voce che indica quanto di ciò che dobbiamo sborsare è dovuto all’equo compenso.
D’altronde in Francia, uno dei (due) Paesi presi a modello nella disposizione degli aumenti, tale pratica è obbligatoria dallo scorso primo Aprile: si tratterebbe certamente di un boomerang per i responsabili del provvedimento, vista la maggior sensibilizzazione sul tema che inevitabilmente provocherebbe il vedersi “sbattere in faccia” le cifre.