Equo compenso: Paoli difende gli aumenti, Altroconsumo lancia una petizione

17 Dicembre 201386 commenti

L'adeguamento dell'equo compenso a una più che discutibile media europea che porterebbe al rialzo dei prezzi di supporti registrabili e dispositivi atti alla registrazione ha suscitato e continua a suscitare molte polemiche: Altroconsumo ha deciso di intervenire con una petizione, mentre il presidente SIAE Gino Paoli prova a difendere la scelta.

In una nota, Paoli ha provato a spiegare i perchè dell’aumento:

“Nell’ultimo fine settimana ho letto e ho sentito demagogiche e complicatissime analisi sulla copia privata che non è una tassa, ma il compenso che si riconosce agli autori, agli interpreti esecutori e ai produttori di contenuti, e che Siae ha solo l’obbligo di raccogliere e ripartire non avendo alcuna provvigione se non il recupero delle spese. Come autore e come Presidente della Siae, sento il dovere di semplificare la questione a beneficio dei cittadini e quindi faccio una semplice considerazione e pongo due semplici domande a quanti, incomprensibilmente schierati con le aziende multinazionali che producono gli apparati tecnologici, contrastano l’aggiornamento delle tariffe.

 

 

La considerazione: nel cosiddetto G8, dove siedono le otto grandi potenze economiche del mondo, vi sono quattro Paesi europei che sono la Francia, la Germania, il Regno Unito e l’Italia. Poiché nel Regno Unito la copia privata è illegale, ci sembrava giusto chiedere che le tariffe italiane fossero adeguate a quelle della Francia e della Germania. Tuttavia ci è sembrato ragionevole ed equo condividere la proposta del Ministro dei Beni e Attività Culturali e del Turismo Massimo Bray di adeguamento di tali tariffe alla media europea.

 

Veniamo alle domande. La prima: perché in Italia le tariffe degli smartphone sono a 0,90 centesimi, quelle dei tablet a 1,90 euro e quelle dei telefoni non smartphone a 0,90 centesimi mentre in Germania variano da 16 a 36 euro (secondo le capacità di memoria) e in Francia da 2,80 a 14,72 euro? La seconda: perché gli autori, gli interpreti esecutori e i produttori di contenuti del nostro Paese non possono avere pari dignità e devono continuare a produrre opere dell’ingegno senza avere adeguato compenso e quindi continuando ad essere figli di un dio minore?”

Gino Paoli

 

Anche in questa nota viene ribadito il concetto molto originale di una media europea fatta basandosi su due Paesi su ventotto (non si capisce inoltre perchè debbano essere considerati i soli Stati europei membri del G8; o meglio, appare ben chiaro: per portare verso l’alto la “media”); il criterio? “Ci sembrava giusto”.

Nessuna parola, poi, sulle insolite modalità che hanno portato alla stesura del Decreto, nessuna considerazione sul perchè chi acquisti legittimamente un brano musicale debba pagare una tassa sul dispositivo o supporto su cui andrà a registrarlo. Inoltre, con la SIAE accusata di aver “dettato” l’adeguamento al Ministero, appare quanto mai fuori luogo la definizione “figli di un dio minore”

Non scopriamo ora che si tratta di un provvedimento che fa acqua da tutte le parti: Altroconsumo ha lanciato una petizione online, il cui testo riportiamo integralmente a fondo articolo, per chiedere di fermare gli aumenti. Al momento si contano circa 3100 firme: se ne condividete i contenuti, potete apporre la vostra firma seguendo questo link.

Se stavi pensando di acquistare un computer, una smart tv, uno smatphone o un tablet dopo le feste, evitando così resse ai negozi e beneficiando magari di qualche “saldo”, sappi che, al contrario, potresti trovarti una cattiva soprpresa. Il decreto del ministro Bray (che aggiorna il precedente decreto Bondi e che sarà approvato entro fine anno con applicazione già da gennaio 2014) prevede infatti significativi aumenti su molte famiglie di dispositivi elettronici. Alcuni esempi: un tablet costerà 3,10 euro in più, mentre smatphone e computer avranno aumenti superiori ai 4 euro.

 

 

Una tassa odiosa

Il motivo di questa tassa? Risarcire la Siae (e gli autori e gli editori che rappresenta) per i “mancati introiti” derivanti dalle copie private di canzoni, film e quant’altro coperto da diritto d’autore. Copie private che vengono in genere conservate nelle memorie di massa (hard disk, chiavette, cd vergini…) e in tutti i dispositivi in grado di immagazzinare dati: da qui l’idea di tassare questi dispositivi. Si chiama “equo compenso” e si tratta di soldi che la Siae dovrebbe ridistribuire ad autori ed editori, ma che (come sappiamo) vanno soprattutto agli artisti più noti e importanti (ovvero a chi di fatto non ha davvero bisogno di soldi); gli altri prendono poco o nulla. Inoltre va ricordato che chi acquista musica e film legalmente da piattaforme online, paga già i diritti d’autore per poterne fruire (e fare copie) su un certo numero di supporti: è profondamente ingiusto che paghi una tassa anche su questi stessi supporti, trovandosi così a pagare due volte. Per questa ragione abbiamo messo in piedi una petizione per chiedere al ministro Bray di non fare questo regalo di Natale alla Siae con i nostri soldi.

 

 

Non ce lo ha chiesto l’Europa

Il decreto non fa altro che innalzare le quote già imposte dal precedente decreto Bondi, portando i precedenti 80 milioni di prelievo annuo a oltre 200 milioni. Nello specifico, il balzello su un tablet passa dagli attuali 1,90 a 5,20 euro, quello su un computer da 1,90 a 6 euro e addirittura quello sugli smartphone passa dagli attuali 90 centesimi a ben 5,20 euro. Secondo la legge, poi, il Ministero avrebbe dovuto procedere all’aggiornamento del precedente decreto, sulla base dei lavori di un tavolo tecnico da istituire con tutti i rappresentanti delle categorie interessate. Il tavolo in questione non è mai stato istituito: tutto è stato fatto in gran segreto e in accordo solo con la Siae (che di fatto ne è la beneficiaria) e pochi altri, senza ovviamente invitare i consumatori a dire la loro (vedi la nostra lettera con la quale sollecitavamo chiarimenti). Infine va chiarito che non si tratta di una misura condivisa in tutta Europa: in alcuni Paesi, l’equo compenso semplicemente non esiste.
L’Italia con questo decreto si sta spingendo nella direzione sbagliata in controtendeza con l’Europa dove si sta ridiscutendo alla radice l’equo compenso; in questo modo il nostro Paese penalizza la propria economia digitale in un momento in cui dovrebbe cercare di guardare al futuro.

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